
L’uomo che curava con i fiori
Torino (2002)
RECENSIONE DELLA EDITOR ELENA DE ANGELI AL ROMANZO
‘L’UOMO CHE CURAVA CON I FIORI’ (PIEMME)
di Federico Audisio di Somma.
Nel mio lavoro di editor, ovvero di consulente e interlocutore privilegiato di scrittori affermati o debuttanti, uno dei momenti più difficili è quello in cui si riceve dall’autore di un’opera prima un manoscritto particolarmente voluminoso, palese frutto di un lungo lavoro e non meno trasparente ricetto di grandi speranze.

Il primo compito e dovere dell’editor è infatti quello di formulare un giudizio: e un giudizio negativo, pur sempre doloroso e tuttavia da esprimersi senza peli sulla lingua, significa in questi casi rendere vano quel lavoro, uccidere quelle speranze…
È stato dunque con particolare inquietudine che, ormai più di quattro anni fa, mi sono accostata al romanzo L’uomo che curava con i fiori – una mole cartacea di dimensioni a dir poco preoccupanti –, e con particolare sollievo che ne ho constatato sin dal primo impatto l’assoluta originalità di contenuto e l’altissima qualità di scrittura.

A fronte di tanta piccola narrativa micragnosa e stitica, mi sono infatti trovata davanti una grande storia, raccontata con sontuosa generosità: una storia liberamente ispirata alla vita di Edward Bach, in cui l’autore immagina quel che sarebbe accaduto se a creare la «cura dei fiori» fosse stato, nel secondo dopoguerra, un medico torinese, che una sorta di vocazione sublime induce ad abbandonare la medicina ufficiale per dedicarsi allo studio e all’applicazione di quella nuovissima terapia, più dolce, efficace e «a misura d’uomo».

La vicenda di Cesare Fenoglio – questo il nome del protagonista, che rende omaggio ai due più grandi scrittori piemontesi – è ricostruita a posteriori, tramite le testimonianze raccolte da tre amici che si sono imbattuti per caso in quella figura ormai dimenticata, e si dipana come un intreccio di personaggi indimenticabili e di storie avvincenti che si intersecano, sullo sfondo della Storia, sino a delineare un quadro d’insieme che attraversa almeno due generazioni, ciascuna con i suoi amori, i suoi miti, le sue illusioni più o meno perdute, le sue musiche e i suoi sogni.

E qualcosa di Cesare Fenoglio – se non altro la lucidità e la pervicacia delle scelte – è presente anche nella personalità dell’autore, Federico Audisio di Somma, un medico omeopata il cui debutto letterario non si può certo dire episodico né improvvisato, essendo invece il coronamento di una vocazione innata e perseguita negli anni con pazienza, caparbietà e rigore.

Di racconti nel cassetto – tuttora inediti (si spera non per molto) e a mio avviso molto belli – Audisio di Somma, infatti, ne ha a iosa: ma il momento del grande passo è venuto proprio in occasione del concepimento del romanzo che ora vede la luce – un romanzo lungo, impegnativo, ambizioso, su cui giocare la scommessa di una vita.

E il nostro non si è tirato indietro: fra il generale sconcerto, ha abbandonato una più che promettente carriera ospedaliera per dedicarsi da un lato all’esercizio privato dell’omeopatia, e dall’altro al lavoro – intenso e condotto con acribia e scrupolo quasi maniacali – sul primo brogliaccio del Medico che curava con i fiori.


Ci sono voluti infatti più di tre anni – per me, tre anni di amicizia e di appassionato e appassionante lavoro comune – perché l’avventura andasse a buon fine, anche se non è stato semplicissimo (e sia reso onore all’intelligenza dello staff Piemme) trovare un editore disposto a «credere», come si suol dire, nel libro, e soprattutto a non lasciarsi spaventare da quello che taluni – memori forse del cosiddetto «caso Di Bella», cui certe pagine del romanzo non possono non rinviare – hanno voluto leggere, sbagliando in pieno, come un «attacco» alla medicina ufficiale.


Al contrario, oggi che l’omeopatia e in genere le medicine alternative entrano a pieno titolo nelle aule universitarie e nelle sperimentazioni cliniche, un libro come quello di Audisio di Somma si propone, al di là del suo indiscusso valore letterario, anche come un utile strumento di conoscenza – le notazioni «scientifiche» sui fiori e le loro proprietà sono ovviamente ineccepibili, oltreché affascinanti e poetiche –, in grado di rispondere a molte domande, di sgombrare il campo da molti equivoci e di soddisfare infinite curiosità.


Liberamente ispirato alla vita e all’opera del dottore gallese Edward Bach, il libro racconta le vicende del medico e ricercatore, alias Cesare Fenoglio (nel nome un omaggio ai due grandi scrittori piemontesi Cesare Pavese e Beppe Fenoglio), che nella Torino del secondo dopoguerra, dopo gli studi al Liceo D’Azeglio e all’Università, abbandona la medicina ufficiale per dedicarsi allo studio e all’applicazione di una nuova, ‘dolce’ ed efficace terapia: la cura con i fiori.

Lo scrittore immagina cosa sarebbe accaduto se a creare questa terapia fosse stato in realtà un medico torinese (Cesare Fenoglio, appunto) e ne ricostruisce a posteriori le vicende.

Attraverso le testimonianze sull’eccentrico personaggio, scovate negli anni ’90 a Torino da tre amici (un medico, un docente di storia dell’arte e un assicuratore un po’ play-boy), prende vita una sorta di caccia al tesoro, appassionante e arguta, per ricostruire l’esistenza del protagonista.

Tra colpi di scena e storie che si intersecano, si dipana il racconto delle vicissitudini del dottor Cesare Fenoglio, che rinuncia a una brillante carriera per dedicarsi allo studio dei fiori e delle piante officinali, dai quali trae rimedi che applica ad una clientela sempre più vasta e devota.

Irriso da molti colleghi, perseguitato dall’Ordine dei Medici, il dottore non deroga alla sua vocazione quasi mistica e serenamente continua, fino alla morte, nella casetta tra i boschi dove ha trovato pace e rifugio, a dedicarsi alla propria missione.


Le testimonianze raccolte dai tre amici si susseguono, riferite in presa diretta: e le storie private – tra le quali due, bellissime, d’amore – si intrecciano alla Storia (la guerra, la Resistenza nelle valli piemontesi, gli anni ’50 e ’60), alternando pagine luminose e poetiche, ma di assoluto rigore scientifico, sull’evolversi delle ricerche del dottore (la selezione e la raccolta dei fiori, l’estrazione delle essenze, l’accoppiamento alle malattie e ai caratteri individuali), a ritratti indimenticabili di piccoli e grandi personaggi di contorno, a deliziosi excursus su costumi e mode, nonché a un lucido quadro del mondo della sanità visto dall’interno.


Il tutto con il sottofondo di una vera e propria colonna sonora che alle musiche d’epoca (dalle canzonette al cool jazz ascoltato «dal vivo» a New York) avvicenda il rock «di culto» della generazione che ha oggi poco più di quarant’anni.
Elena De Angeli
Torino, giugno 2001