
Pura pittura
Paola Gribaudo (2017)

Ad un certo punto della storia, e desidero raccontarla, dissi a Pier Tancredi “È ora che ti metta a dipingere sul serio”.
Dietro la palese maestria a padroneggiare l’occhio e la mano traspariva un talento fuori dal comune. Possedeva quella dote che qualcuno definisce illuminazione artistica, necessità interiore al di là dell’ordinario, virtù in grado di mettere a nudo l’anima.

Mi viene in mente ciò che Wassily Kandinsky e Franz Marc scrissero nel 1911, componendo il manifesto di avanguardia culturale che l’anno seguente divenne il Blaue Reiter: ‘Quando le condizioni necessarie alla maturazione di una precisa forma si sono realizzate, l’impulso interiore diventa tanto forte da creare un nuovo valore nello spirito umano, un valore che comincia a vivere nella coscienza o nell’inconscio dell’uomo’.

Fin dall’infanzia ho respirato atmosfere artistiche, per cui non potevo far finta di niente. Il migliore amico di mio padre era Edgardo Corbelli (1918-1989) pittore, ex allievo di Oskar Kokoschka all’Accademia di Salisburgo. Lo frequentai soprattutto durante le villeggiature estive a Trana, in Val Sangone, accompagnandolo a dipingere nelle campagne, imparando da lui l’osservazione del mondo e il farsi arte nei colori.

Quella weltanschauung ha segnato la mia vita. Intorno ai vent’anni, quando conobbi Pier Tancredi De-Coll’, per affinità elettiva, sentii l’urgenza di trasformarmi in una sorta di rivelatore chimico, di provocare in lui una forte reazione, di innescare un processo che, parafrasando, potrei definire cromatografia su strato sottile.

Composta, per così dire, di una fase stazionaria, adsorbente tutte le sensazioni reciproche, e di una fase mobile attivata da un solvente capace di separare le componenti di valore da quelle mediocri.

Erano gli anni ’80 del secolo passato, entrambi studenti universitari. Iniziò il nostro sodalizio, destinato a superare lo spartiacque del millennio.
‘Ci sono più cose nella vita di ogni uomo di quante ne ammettano le nostre teorie su di essa. Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada.

Alcuni di noi questo qualcosa lo ricordano come un momento preciso dell’infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un’annunciazione: ecco quello che devo fare, ecco quello che devo avere.

Ecco chi sono’. L’incipit de Il Codice dell’Anima di James Hillman indica la maniera con cui si deve procedere, dal passato al presente, dall’attualità alla profondità. È ciò che mi propongo di fare, raccontando la storia di un artista, ricostruendo la sua biografia, investigando le pieghe per afferrarne i significati e il divenire.
Federico Audisio di Somma
Torino, 2017
