
Jazz del Torello Verde
(Edizione Limitata, Copisteria Eridania, Torino giugno 1984)
Sotto le mie finestre, lungo il viale di corso Vinzaglio, è sistemata una fontanella pubblica che non smette mai di gorgogliare: il ‘torello verde’, caratteristico simbolo di Torino.

Dopo le due di notte, e fin verso le quattro e mezzo, i tram smettono di viaggiare; allora il torello verde suona il suo jazz, monotono gregoriano liquido, secrezione della città che dorme, mood delle mie veglie. Io non dormo, sto sulle torrette a vigilare il territorio inquieto, sentinella di scrittura, amante della lettura. Tour de force senza regola, stagioni della vita, studente di medicina, i diari, le lettere, le idee, le pagine strappate con rabbia, quelle bagnate dalle lacrime, entrare e uscire dalle emozioni, ragionare per ore su una parola mediocre e desiderarla perfetta.

Il torello verde ha interpretato la colonna sonora in sordina delle mie notti creative. Durante il giorno la sua voce non è percepibile, dominata dal traffico che ruggisce la sua hit parade. Il torello verde rappresenta l’urlo dei momenti intimisti.
Nel 1984 ho deciso di raccogliere alcuni scritti, sia ‘liberi’ o poesie, sia brevi racconti, in un libro.
L’occasione è nata dall’incontro con Pier Tancredi De-Coll’.
Mi ero accorto che Pier aveva il dono di saper disegnare con estrema facilità e con straordinarie doti di creatività. Mi recai da lui in collina, nella sua magnifica villa antica, portando una cartellina blu quasi allo sfascio e alcuni quaderni dove conservavo testi vari. Non avevo la minima idea di come procedere e se mai avremmo combinato qualcosa insieme.

Cominciai a leggere e tra noi nacque quel particolare spirito di coppia artistica che, senza ulteriori spiegazioni, produce effetti entusiasmanti. Sempre sistemati intorno al tavolo della sua cucina, sempre di sera, mentre leggevo, rileggevo o cambiavo pagina, lui schizzava a china o a pennarello sottile, su fogli bianchi, figure elastiche, brucianti, efficaci, ricche di vitalità e nemiche di ogni possibile correzione.
La sua mano generava improvvisazioni di assoluta compiutezza. Avveniva graficamente ciò che, a suo tempo, era accaduto a me con la scrittura. Facevamo insieme cool jazz. Dopo qualche incontro cominciammo a selezionare i disegni che sembravano i meglio riusciti.

Il criterio di questa scelta definì ciò che ci piacque chiamare ‘tratti nervosi’. Procedura di esclusione di ogni compromesso, di ogni sovraccarico grafico. Tale modalità divenne il vincolo, si potrebbe dire lo ‘stile’, che guidò ogni ulteriore cernita dei materiali, sia miei che suoi.
Abbiamo ‘fotografato’ il nostro canone a pagina 3 del libro specificando – come si trattasse di una performance musicale – che il Jazz del torello verde è stato eseguito in ‘tratti nervosi’.
Lavorammo l’inverno a cavallo tra il 1983 e il 1984 e per tutta la primavera. Alcuni scritti erano da rivedere, alcuni scartati altri aggiunti; i disegni furono più volte rifatti fino a giungere a una corrispondenza precisa e a una riuscita soddisfacente.
Quando giunse l’estate in noi maturò il desiderio di pubblicare questa esperienza. Contatti con piccoli editori non portarono a nulla. Decidemmo di procedere con le nostre forze, secondo un’idea artistica che, a questo punto, non avrebbe permesso interferenze esterne.

Ci accordammo con un personaggio anomalo, anche lui figlio delle Muse, Umberto Viani, titolare di una copisteria nei pressi di corso Casale (poi diventato bravo fotografo e oggi metamorfizzato in regista cinematografico), poco distante dal Po, per questo chiamata Eridania. Insieme scegliemmo una carta povera, grezza, di colore senape, sul genere di quella in uso nelle botteghe dei pescivendoli o nelle macellerie.
La mia macchina da scrivere (una Olivetti Lettera 32) era in stato pietoso, alcune lettere mancavano altre erano cariate dall’uso forsennato, per cui andai alla Eridania a ribattere i testi con una Olivetti a testina rotante capace di tabulazione, pasticciando non poco. Desideravo una particolare disposizione per certi testi, capace di dar loro un ritmo visivo, una precisa cadenza di pause.
Con Pier, a quel punto, ci mettemmo a lavorare alle macchine fotocopiatrici, ingrandimenti, riduzioni, forbici e colla, fino a ottenere le pagine definitive. Tutta questa attività anarcoide fu relegata dopo l’orario di chiusura del negozio e al sabato.

Giunse il momento cruciale. Umberto aveva da poco acquistato un obsoleto marchingegno di stampa offset. L’aveva piazzato nella dependance della copisteria, monolocale con vetrina su corso Casale, una autentica officina degna del film La banda degli onesti. Non conosceva bene la tecnica tipografica e improvvisò il mestiere aiutato da me e da Pier, il tutto in un’atmosfera sperimentale, artistica, esaltata.
Prove di inchiostro, clamorosi fiaschi, il cilindro da ripulire continuamente, la carta che si incastrava sul più bello, birre e caffé, musica ad alto volume prodotta da una patetica autoradio piazzata su una mensola, varie giornate e numerosi intoppi per terminare l’opera. Reduce da quell’impresa sotto molti aspetti assurda, che gli aveva complicato non poco l’attività lavorativa ordinaria e disturbato i rapporti coniugali, Umberto meritò, coniato da noi, un nome di battaglia: ‘Il timorato di Dio’ che è rimasto indelebile.

Infine i 116 fogli che compongono il libro, più la copertina di cartoncino rustico, furono messi ad asciugare, poi tagliati a dovere. Umberto stesso si occupò della rilegatura a punti metallici coperti da un dorso incollato. Nell’ultima pagina compaiono le nostre caricature, la mia particolarmente riuscita, che Pier preparò per l’occasione.
A questo punto ci trovammo in mano le cento fatidiche copie del Jazz del torello verde, da noi prodotte e stampate insieme all’amico di copisteria, ormai trasfigurato al rango di esordiente editore, carriera che non ebbe seguito.
Il libro necessitava di un evento a cui collegarsi, in modo da permettere una presentazione pubblica. Contattai Gian Mesturino, patron del Festival di Vignale Danza, il quale mise gentilmente a disposizione una sala di Palazzo Callori, sede dell’Enoteca Regionale.

Il 1 luglio 1984 Pier Tancredi e io inaugurammo a Vignale la mostra Trittico, momenti di danza, disegno e poesia. Incorniciate e sotto vetro erano esposte una trentina di pagine originali del libro, in formato A3. L’evento fu introdotto dall’allora Assessore alla Cultura della Regione Piemonte Giovanni Ferrero. Il maggior numero di copie del volume furono donate a autorità, giornalisti e amici.

Oggi il Jazz del torello verde è introvabile. Il libro è strutturato in un’alternanza di testi liberi, se vogliamo quadri poetici, e di prose, se vogliamo racconti minimi. Questi, nell’indice, sono segnalati in maiuscolo. I materiali letterari risalgono agli anni intorno al 1980-1984, estratti liberamente da miei quaderni e raccolte varie. Alcuni, quelli riferiti alla danza, furono da me scritti durante i periodi in cui, d’estate, mi recavo a Vignale Monferrato al seguito di Virginia, là impegnata in stages di danza moderna a cura della Scuola del Teatro Nuovo.

A distanza di tanti anni rileggo volentieri queste pagine, godendone la freschezza e l’immediatezza. Rappresentano tappe del lungo cammino letterario che dall’adolescenza accompagna senza interruzione la mia vita. Mi ricordano momenti e sensazioni disperse nella lontananza del tempo. Rimango affascinato dalla bellezza nuda e assoluta dei tratti che Pier, con la sua penna magica, ha saputo fermare per sempre sulla carta. Disegni per nulla immobili, ancora oggi vibranti di una forza ‘nervosa’, viva e inalterabile. ‘Magik’ Pier De-Coll’ è un vero genio in questo genere di schizzi.
Federico Audisio
Torino, ottobre 2007


Commento di Pier Tancredi De-Coll’
Ho sempre saputo di non essere un artista, ma forse in me giovane vivevano troppa insicurezza e modestia.
Da due anni pubblicavo su “Stampa Sera” e “La Stampa” le mie vignette sportive.
Sulla scorta di illustri predecessori (come il grande Silva), riuscivo ad esprimere un po’ di movimento sulla carta con rapidi tratti di penna, talvolta sapienti. Il palese successo di vedere migliaia di disegni pubblicati sulle diverse edizioni del grande quotidiano, mi impediva di pensare oltre.
Federico intercettò questa mia esperienza emergente e mi propose un piccolo azzardo. “Diamo corpo alle pulsioni artistiche che ci scuotono e proviamo a farne un libretto, ma un libretto in povertà, solo per noi ed i nostri amici.”.
Magic Audix, come lo chiamavo, mi travolse con tonnellate di testi. Un soliloquio immane tra cui scegliere dove esercitarmi.
Cose belle, alcune bellissime, altre che non capii mai. Ma tutte brillanti dell’arguzia di un intelletto curioso e sofisticato.
Per questo più che il movimento, nel “Jazz” troverete schizzi che danno luce a pensieri, delicati movimenti su carta evocati dalle suggestioni di Federico. ‘Mutevole in rosa’ (pag. 8) rimane a distanza di anni, insieme ad alcuni altri, un piccolo capolavoro di leggerezza.
Torino, novembre 2007
