
Siddharta Rave
(Cairo Editore, 2018)
Due generazioni si incontrano e giungono a conoscersi attraverso la musica. Il ‘testimone’ viene passato al nuovo arrivato, il giovane DJ, un Siddharta contemporaneo che attraverso la ricerca del padre e l’elaborazione del lutto procederà in una nuova esperienza secondo una sensibilità ecologica e incorrotta. Una favola mistica che lascia indietro ciò che è stato e che non sarà più.
Quando le cose importanti sfuggono dalle mani si inizia a cercarle, e in quel momento ci si rende conto del loro valore. Il giorno del funerale di Filo, dj filosofo morto in un banale incidente stradale, si scorge tra la folla un giovane, a tutti sconosciuto.
È il figlio, Siddharta Rave, questo il suo nome d’arte. La morte del padre rappresenta un nuovo inizio. Parte da qui per scoprire le sue origini, per capire sé stesso. Lo accoglie il gruppo di amici di Filo, che vive sul lago in una comunità anticonformista resistendo con lucida consapevolezza al crepuscolo culturale e commerciale. Luigi Xella, il migliore amico del padre, assume il ruolo di mentore nell’impegnativa crescita del ragazzo. Si ripercorre il passato attraverso la storia delle generazioni precedenti, in forma di flashback.

La musica riprende l’epopea degli anni Sessanta e Settanta e diventa una vera e propria colonna sonora della consapevolezza. Il confronto di esperienze umane molto differenti riunisce i tanti personaggi descritti, facendo emergere tratti di esistenza profonda. Lo spirito ribelle, il senso religioso e le varie forme d’amore si combinano in un continuo divenire di fede, utopia, malattia e morte. Il protagonista abbandona il caos assordante in cui ha vissuto fino a quel momento e inizia un nuovo cammino, immergendosi in questa nuova tavolozza di luci, colori, suoni, fragranze, sensazioni ed emozioni sopite nelle semplici cose dell’uomo e della natura. La sua strada lo conduce verso la montagna incantata, dove insegue il suo sogno di perfezione. Lasciando indietro ciò che è stato e che non sarà più.
Federico Audisio di Somma
Torino, maggio 2018
Commento di Federico
Genesi e sviluppo del romanzo.
L’idea originale è nata raccontandola ad Alberto Colombo, mio pupillo artista (a me affidato dal padre, in una forma di ‘iniziazione’, in seguito è diventato regista di video spot pubblicitari per importanti aziende internazionali, a Milano), lui ventenne io trentottenne, accampati ‘into the wild’ in alta Val di Susa nell’estate del 1991.

Davanti al falò, mentre imbruniva, una tisana di timo a bollire nel pentolino, fumando la pipa. Gli narrai, improvvisando, il nucleo originale della storia del DJ ecologico e mistico. Da quel momento in avanti presi a scrivere a stilografica brandelli più accurati su quaderni sparsi. Poi mollai tutto. Non era il tempo di Siddharta Rave. Portai avanti altri testi. Nacquero 800 pagine di racconti, poi il romanzo L’uomo che curava con i fiori, che uscì nel 2001. Tre dei suddetti racconti, o meglio romanzi brevi, uscirono nel 2003 nel libro Il fiore dell’omeopata (titolo da me assai criticato, ma il contenuto era notevole. All’editore avevo proposto Zolfo, acqua e le stelle). Negli anni successivi, ho scritto molte altre cose, in gran parte inedite. Quasi ogni estate sono tornato nei boschi, preferibilmente da solo, vivendo per qualche giorno e notte i luoghi dove stavo ambientando quello che sarebbe poi diventato un grande romanzo, assorbendo l’anima della natura selvaggia. Tenda, sacco a pelo, fornelletto a gas, no cellulare, pulizia interiore, scrittura e fragranza spirituale. È la zona del parco dell’Orsiera Rocciavré, sopra l’antica Certosa di Monte Benedetto, tra gli alpeggi di Fumavecchia e Piansignore, fino al vallone del Gravio e più in alto verso il Mustione, il Col del Vento, il Pian dell’Orso. Tutte quelle profonde e meditate sensazioni sono poi confluite nello sviluppo del manoscritto.

Ripresi in mano seriamente il testo verso il 2009. Da allora si sono succedute molte stesure, una pila alta circa 70 centimetri dal titolo L’uomo della valle delle casse acustiche, in fase di evoluzione. Inviavo ciò che usciva dalla penna alla mia amica Gisella Gramaglia, prima lettrice attenta a segnalarmi refusi e difetti. Ogni testo ha la sua urgenza, uno ‘stato di necessità’ slow o fast e un tempo giusto per maturare. Non era ancora il momento. Almeno una decina di fasi, sempre più coerenti, progressive e differenti. Di nuovo ho mollato la presa perché ‘mancava qualcosa’. Pretendevo una verità che giocava a rimpiattino, sfuggendo dalla sintesi che sentivo dovesse esistere. Mi sono dedicato ad altri lavori, saggi di medicina naturale e bozze di romanzi. Dal 2011 ho ripreso da capo, con piglio rinnovato. Ricordo gli anni 2012-2013 come fondamentali nella composizione, potentemente ispirato, aggiungendo parti, inventando nuovi personaggi. Terminata questa fase, mi trovai in un momento di crisi, avendo inviato il manoscritto ad alcuni editori, incontrato qualche agente, senza alcuna risposta, se non un paio negative per ‘la complessità della scrittura’. Il che è normale, andazzo italiano, ma umilia ed esaspera. Morta da circa un decennio la mia ‘talent scout’, la grande e severa editor Elena De Angeli, desideravo il confronto con un editor professionista. Dunque sottoposi il testo a Francesco Pettinari, lettore sopraffino, uomo di alta cultura letteraria, mio ‘collega’ conduttore di un Gruppo di Lettura al Circolo dei Lettori di Torino. L’analisi del testo, a suo parere, suggeriva di mutilare la storia narrata, riducendola a quella del protagonista, in divenire lineare da quando giunge al lago fino all’epilogo. Il titolo mutò in L’ultima canzone del paradiso, quindi cambiato in Patchouli. Proposi questa stesura alla casa editrice Einaudi, ne ottenni il rifiuto. È seguito un lungo periodo di faticose riflessioni, una sofferenza intima di autore. Infatti non riuscivo a convincermi della perdita delle parti eliminate, relative ai tempi diversi della narrazione. Rileggevo il testo mutilato, senza riconoscermi. Il caleidoscopico che caratterizza la mia scrittura, quel comporre in piena libertà creativa, le narrazioni secondarie confluenti, quello che Pettinari definiva ‘l’albero di Natale’, era spento. Quella versione semplificata, ai miei occhi evocava certe opere di arte contemporanea di Giuseppe Penone, i suoi alberi nudi. Per almeno un paio di anni mi sono logorato nel dilemma. Nel frattempo il manoscritto girava in qualche casa editrice, senza alcuna risposta. Il che mi faceva capire che tutto quel lavoro di bisturi e suture non serviva nemmeno a rendere il testo più appetibile. Ragionando su tutto questo, ho rialzato lo sguardo prendendo la decisione che piaceva al mio cuore. Sono ripartito da zero. Per prima cosa ho evidenziato a colori diversi i periodi storici, le varie parti del testo. Avevo davanti una specie di patchwork policromo, su cui concentrarmi per riorganizzare i materiali narrativi. Su quella base ‘scientifica’ ho ricominciato a scrivere dalla prima riga all’ultima, recuperando i materiali esclusi dall’amico editor, perché a mio modo di vedere davano senso al tutto, giustificavano i personaggi nel loro passato e presente, rendevano la narrazione come piace a me, ricca, fosforescente, se vogliamo perfino barocca. Una volta messa a punto la nuova stesura, dal titolo definitivo Siddharta Rave, dovevo risolvere nel modo più intelligente possibile gli scarti temporali. Così mi è balzata in mente la soluzione ideale: quella dei flashback. Soluzione peraltro molto utilizzata non solo in letteratura, ma anche in molte sceneggiature cinematografiche e serie tv. I flashback funzionano a dovere se sono sostenuti da dialoghi all’altezza, mentre si afflosciano miseramente se affidati a una piatta rievocazione narrativa a ritroso.

A proposito dei dialoghi ricordo che quando avevo circa 21 anni bruciai tutti gli scritti precedenti, compresi gli epistolari, in una drammatica notte sulla riva del torrente Sangone, e ripresi a scrivere da zero. Ogni tanto fa bene alla salute di autore resettare completamente il pregresso. Per due anni interi mi costrinsi ai soli dialoghi, racconti che dovevano diventare tali mediante l’esclusivo uso delle battute tra i personaggi. Gran bella scuola, che ho coltivato costantemente fino a oggi. Confesso che ho scritto Siddharta Rave in una sorta di lunga ispirazione tenuta sempre tesa e alta, senza sforzo, con cosciente e instancabile bisogno di bellezza lessicale. Tuttora lo ritengo un ottimo testo. Sono convinto che, vista la sua complessità, per essere pienamente apprezzato, questo romanzo vada letto più volte. Nell’autunno del 2017 ho sottoposto il romanzo a Raffaele Riba, docente alla Scuola Holden, editor e anche lui scrittore. Gli è piaciuto e, in quanto collaboratore della casa editrice romana 66thand2nd, mi disse che l’avrebbe preso in considerazione. Nell’attesa, e grazie all’interessamento delle amiche Paola Gribaudo e Elena D’Ambrogio Navone, conobbi Marco Garavaglia, direttore editoriale di Cairo, il quale decise di pubblicare il libro senza modifiche.

Temi, ambientazione e personaggi.
Siddharta Rave è un romanzo di formazione. Come tale affonda le sue radici nel mio vissuto. ‘Solo un visionario conosce la via che sta percorrendo’, questa la frase scelta dall’editore per la quarta di copertina del libro’, e ne racchiude il senso. I luoghi dove si svolgono le vicende sono reali, i personaggi di fantasia. Le varie scene muovono dai laghi di Avigliana, a Giaveno, alle montagne dell’alta Valle di Susa. La prima parte della narrazione scorre a ritroso nei vari decenni, attraversando le epoche dei protagonisti e dei loro antenati, fino agli anni ’20 dello scorso secolo. L’epicentro della storia si svolge a Psy-Mo, il ‘molo psicotico’ degli appassionati di sci nautico riuniti sulla spiaggia della villa della famiglia Xella, luogo trasformato in discoteca, in mondo anticonformista, dall’architetto Luigi Xella. Qui confluiscono i suoi amici, ormai sessantenni, della grande stagione di musica e libertà vissuta negli anni ’60. Qui giunge anche il figlio ventenne di uno di loro, il filosofo DJ Filo, morto in un banale incidente stradale. Questo evento innesca l’intero romanzo e mette a confronto le generazioni dei protagonisti. La Val Sangone, Giaveno e Avigliana, sono state la terra della mia gioventù e così tanti ricordi mi legano a quei tempi e luoghi. Il libro racconta ciò avrebbe potuto essere, che in parte è stato, che sicuramente è appartenuto ai sentimenti della mia generazione. Per moltissimi di noi gli anni della gioventù sono stati scanditi da una vera e propria colonna sonora. Talmente interiorizzata che ancora oggi, a distanza di oltre cinquant’anni, resta indelebile nel cuore e nella mente di chi ha vissuto intensamente quel periodo storico. È diventata un cult, per qualcuno uno strumento di conoscenza di sé. Questa è la via che percorre il giovane eroe del romanzo, nome di battaglia Siddharta Rave. Chiaro il riferimento al romanzo Siddharta di Hermann Hesse, edito nel 1922, tradotto da Massimo Mila (non a caso musicologo, alpinista e antifascista), pubblicato in Italia da Frassinelli nel 1945. Negli anni ’70 qui a Torino esisteva un negozio di vinili molto particolari, il Discolò, di un certo Mimmo. Importava dischi introvabili in qualsiasi altro posto e li vendeva anche per corrispondenza in tutta Italia. Vi si rifornivano i DJ delle radio libere e dei locali (allora ne esistevano molti), gli appassionati di rock. Io allora ero un adolescente inquieto con le tasche vuote, un angry young man alla ricerca di me stesso. Ogni lira che racimolavo la spendevo in vinili e libri. Ricordo per esempio che il mio severo buon padre, per la maturità, mi aveva donato una cifra paragonabile ai 100 euro di oggi.

Nel pomeriggio stesso spesa interamente al Discolò. L’altro negozio storico torinese di vinili è Rock’n’Folk, tuttora esistente, anche se ha cambiato sede e si è dovuto adattare ai tempi moderni vendendo gadget e oggettistica commerciale. Negli anni ‘70 ero anche stato uno dei DJ in radio Kitsch 101 FM, libera emittente in cui trasmettevo brani speciali, con commenti poetici fuori schema. Nel romanzo ho rivissuto, reinventandoli, questi ricordi nelle pagine dedicate a Radio DDR (Dew Drop Radio), di pura fantasia, impegnata politicamente. Per renderla viva ho creato una serie di personaggi molto caratteristici, l’intera redazione con i diversi DJ e collaboratori. Aggiungo che esiste tuttora un locale sul lago di Avigliana, inaugurato nel 1958, ormai ridotto al solo ristorante, il Cin Cin Miralago, discoteca che negli anni ‘60 ospitava gruppi live e che suonava buona musica. Ora è l’ombra del suo epico passato. Quando accadde la tragedia del cinema Statuto a Torino, febbraio del 1983, cambiarono le disposizioni di sicurezza. Luigi Broglia stava costruendo una nuova struttura (su progetto di un allievo del grande Niemeyer, che era passato lì a mangiare, diventando amico), uno scheletro di cemento armato rimasto tal quale fino a oggi a causa di una annosa diatriba con l’amministrazione comunale. Il proprietario Luigi Broglia e suo cognato Claudio Xella con nostalgia raccontano agli avventori quei tempi memorabili. A loro ho chiesto il permesso di utilizzare il cognome Xella, che mi piaceva in quanto musicale e li ho fatti diventare pure fratelli. Frequentavo questo locale in gioventù, senza soldi in saccoccia, e mi prestavo a fare serate come DJ, invitando molti amici del giro studentesco. Aborrivo la disco music e facevo ballare gli appassionati fino a tarda notte solo con brani scelti rock e pop, di cui sono sempre stato cultore, portando i miei vinili. Parecchie volte Luigi si metteva a cucinare gli spaghetti all’alba, per noi dello staff, poi correvo a tuffarmi nel lago per inaugurare la giornata. Nel romanzo ho trasformato il Cin Cin in Psy-Mo (il molo psicotico), immaginandolo collegato direttamente alla spiaggia dove esiste ancora il pontile per gli appassionati di sci nautico.

Qualche lettore mi ha segnalato che il Cin Cin non è esattamente come lo descrivo. Confermo. Infatti, per ragioni narrative, ho modificato questo luogo, ‘edificando’ sul fronte di quella collina il locale psichedelico della discoteca, eliminando la strada provinciale che in realtà lo divide dalla spiaggia, aggiungendo l’officina motociclistica del ‘professore’, la villa in stile architettura organica alla Frank Llyod Wright, ispirandomi un pò a Taliesin West, con annessa una sorta di ‘bolla’ alla Renzo Piano, sala di trasmissione di Radio DDR. Inoltre ho aggiunto la vecchia casa della famiglia Xella e la cappella in stile barocco. Questa mi è stata ispirata dalla Cappella dedicata a San Luigi Gonzaga, opera di Bernardo Vittone sita a Corteranzo (AL). La mia passione per l’architettura ha scritto parecchie pagine di Siddharta Rave e non a caso uno dei principali protagonisti, Luigi, è ritratto nello sviluppo della sua carriera di progettista e visionario mecenate. Certamente i personaggi narrati nel romanzo sono di gran lunga più estremizzati e idealizzati rispetto a quelli reali ai quali mi sono ispirato. Ma di sicuro incarnano nuclei di molti amici e conoscenti, ricreati per la rappresentazione letteraria. In questo romanzo sinfonico convergono anche storie e memorie di famiglia. Tutte modificate e adattate alle vicende di fantasia. Per esempio la figura di don Claudio Xella, tornato a casa dopo quarant’anni di missione in Africa. Ho un fratello, Paolo, sacerdote salesiano, e due cugini missionari. Le loro storie e il loro vissuto, soprattutto quello riguardante un cugino padre Antonio, personaggio avventuroso alla Hemingway di Verdi colline d’Africa, a loro insaputa, hanno fornito ampi spunti per il romanzo. A Gepe Cavallero, uno dei miei migliori amici, con il quale ho vissuto gli anni della formazione e dell’avventura in Val Sangone, ho dedicato la figura di Photomax. In Siddharta Rave interpreta, con i dovuti distinguo, il fotografo di successo che torna nei luoghi della gioventù a riscoprire le origini delle proprie motivazioni. Una specie di Oliviero Toscani, con benda sull’occhio malato.

In effetti Gepe l’ha purtroppo perso, ma quello superstite gli fa ancora scattare magnifiche immagini. Le figure femminili hanno molta rilevanza. Le lettrici mi hanno spesso detto che non si capacitano su come faccio a pensare e a scrivere come una donna. In particolare emergono due ragazze, poi donne mature nel corso del romanzo, Geminus e Neva, una bionda e l’altra mora. In loro convergono ricordi personali. Dire che corrispondano a persone precise non è corretto. Rappresentano mondi femminili concentrati in personaggi romanzati. In Geminus convergo un insieme di mie amiche ed ex, sullo sfondo della Nico dei Velvet Underground. Questo personaggio mi è servito per creare una atmosfera simile alla Factory di Andy Warhol in Giaveno, luogo quanto mai distante dalla New York a cui si ispira. A quel tempo ero incontenibile, creatore di scenografie, sempre in azione artistica, probabilmente è questo il motivo che mi ha evocato la Factory. Infatti, insieme agli amici Dario, Vitto e Gepe organizzavamo feste musicali nelle case di amici fuori città, dove si poteva fare l’alba ad alto volume, veri happening d’avanguardia, oggi tornati di moda seppure in forma molto meno creativa e ‘filosofica’. Ricordo le scenografie, ogni volta diverse, un enorme pannello di polistirolo ispirato alla copertina di Lou Reed in Rock’n’Roll Animal e altri coloratissimi quadri che rimandano a David Bowie di Ziggy Stardust. Tra l’altro di recente ho scoperto che la Factory newyorkese di Warhol era tappezzata di fogli di alluminio, esattamente come avevamo realizzato in una villa in collina. Mentre studiavo all’università era un continuo cantiere creativo, un’officina di luci psichedeliche, di riprese foto cinematografiche, di impianti stereo auto assemblati. Con Dario e Vitto, pionieri in elettronica, avevamo anche acquistato da un rigattiere grandi casse acustiche e costruito un mixer, quando non erano ancora in commercio o costavano troppo. Proiettavamo diapositive e gelatine colorate, con effetti decisamente psichedelici. Ho creato la figura di Geminus pensandola vestale carismatica e irraggiungibile di questa epopea. Neva rappresenta il suo esatto contrario, la forza della seduzione corporea. Mi ha fatto sorridere quando una mia fidanzata di allora mi ha chiamato per dirmi, vagamente piccata, che lei non era come la descrivevo. Giusto. Le ho risposto che infatti Geminus è bionda platino, e lei bruna, che ho omaggiato il ricordo del passato, ma non intendevo scrivere biografie ortodosse. Neva, nella sua interpretazione adulta, ricorda invece alcune signore alternative che ho conosciuto, capelli grigi e tunica orientale, adepte di guru indiani e profumate di patchouli. La casa attribuita a Geminus non è quella che tuttora spicca all’ingresso di Giaveno venendo da Trana, ma bensì quella di Mitzi G. Ero stato in quella villa a La Sala soltanto una volta, avrò avuto 17 anni, portato in sella alla Aermacchi Harley Davidson Ala blu GT 250 cc da Mario Ponzio, amico più vecchio di me di 4 o 5 anni. Studente a ingegneria, distinto e un po’ in stile british, mi ha ispirato la figura romanzata di Luigi Xella da giovane. Quel pomeriggio ero decisamente in soggezione, Mitzi spigliata, molto più evoluta di me, fumatrice, e nella sua tavernetta c’erano vinili sparsi ovunque. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, come si è sentito Luigi Xella nella stessa situazione, come l’ho raccontato nel romanzo. Al punto che molti anni dopo, ho voluto ricostruire la scena, reinventando l’architettura della casa e aggiungendoci del mio. Quando confronto, a posteriori, la differenza tra luoghi reali e luoghi di fantasia dei miei libri, rimango sempre molto colpito.

Tempo fa, volendo ricostruire una sorta di rappresentazione scenografica di Siddharta Rave mediante una serie di slides con citazioni dai vari capitoli, cercavo immagini di quella casa. Mitzi mi ha poi inviato alcune foto. Erano talmente diverse da come la ricordavo che sono rimasto davvero impressionato. Ma l’autentica emozione di quel giorno lontano è rimasta tale, e ha prodotto ciò che serviva a metterla in scena. Altri personaggi del romanzo sono reali, ma reinventati e idealizzati per finalità narrativa. Satana è senza dubbio ispirato a Silvano Pauluzzo, campione giavenese di sci nautico, visionario anticonformista per eccellenza, ritratto con enfasi e drammatizzazione. Sono contento che ha apprezzato la metamorfosi ardita. Un altro amico storico, Franco Tortasso, ex chimico, ex avvocato, ora liutaio, è ritratto in gonna kilt scozzese, nelle vesti di Otto Spinx, artista e pittore di Harley Davidson. Otto Spinx era peraltro il nomignolo con cui firmavo le foto e gli acquerelli Zen negli anni ’80. Il mio amore per le due ruote traspare in molte pagine dedicate. Le motociclette hanno fatto parte della mia gioventù. Giravo per la Val Sangone e a Torino su una Morini Regolarità Casa 125cc di seconda mano. Ho poi avuto, sempre di seconda o terza mano, una malandata Vespa 150cc, di colore misto sui blu, tutta bollata. Ma adoravo le moto da trial che qualche volta Mario Ponzio o altri mi prestavano: la Montesa Cota (trasferita di sana pianta nel romanzo, montata da Luigi Xella adolescente), la Bultaco e la Ossa. Ero sicuramente un alternativo vero, ma restavo incantato vedendo le Harley taroccate, la Aspes, la Ducati Scrambler, la KTM e la Puch. Così mi sono divertito a immaginare l’officina del ‘professore’ Toni Piroli, mago dei motori e delle modifiche alle Harley. Insieme a Andrea Revel Nutini, abbiamo ‘progettato’ le motociclette di Siddharta Rave. La sua casa loft, ex magazzino industriale, mi ha anche ispirato alcune pagine. Mondo bizzarro, dedicato in parte alla musica, con area attrezzata con amplificatori e strumenti, bar e officina da perfetto biker. Il luogo di ‘iniziazione’ della gioventù irrequieta del romanzo l’ho ambientato nel bar-dehors al centro di Giaveno, che battezzo La Nazionale.

A quel tempo c’era molto movimento giovanile, ma abbastanza lontano dall’anima che descrivo in Siddharta Rave. Alcuni personaggi di allora, seppure modificati e resi letterari, restano nella memoria di chi ha vissuto quegli anni. Per esempio El Gris, l’ex gestore del bar. Non so se realmente facesse a tempo perso il cercatore d’oro nel Sangone, ma girava voce e l’ho ripresa. Non so nemmeno come fosse la moglie, che ho incarnato in Selma, ex indossatrice brasiliana e cartomante. Ma di certo la loro coppia romanzata lascia il segno. Una parte importante di Siddharta Rave riguarda il mondo della moda. Anche in questo caso c’è attinenza con il mio vissuto, infatti negli anni ’86 -’90 insieme a Lucia, che in seguito è diventata mia moglie, avevamo messo in piedi una piccola ma apprezzata casa di moda. Creatività, disegno di modelli esclusivi, scelta dei tessuti, servizi fotografici per presentare le collezioni, mondo degli stilisti (all’epoca avevamo conosciuto Gianni Versace e Nicola Trussardi, che apprezzavano la nostra attività), riverberano nelle avventure delle sorelle Geninatti e il loro brand Wix Fizz. Tutto inventato, ma su solide basi esperienziali.

In quanto alla musica, da sempre colonna sonora della mia scrittura, ho alle spalle qualche timido e patetico tentativo di interprete. Durante il liceo avevo messo su un gruppo musicale, gli OMK Overground Metal Kids, insieme a mio fratello Giulio (lead guitar), Mauro Cavallero (rithm guitar), un batterista e una bassista caschetto biondo, Isabella ‘Pimpi’. Queste modeste, ma decisamente creative esperienze, riverberano nella storia degli Shiva’s Rainbow in Siddharta Rave. Una curiosità: nella ricostruzione a posteriori del romanzo, mi sono molto divertito a realizzare la copertina, fronte e retro, del loro introvabile in quanto mai esistito LP ‘Lotophagos’ del 1968, rarissimo e per intenditori, compresi i titoli delle canzoni, lo studio di registrazione e le note tecniche. In Siddharta Rave si svolgono alcune scene in cui viene eseguito un repertorio di musica da camera. L’enciclopedico maestro Roberto Cognazzo mi ha supportato nella scelta dei brani, tutti accordati con le atmosfere del racconto.
Il tema della malattia e della terapia entra nel romanzo, come in quasi tutti i miei scritti, declinato in sfumature differenti. Qui è interpretato dalla bellissima dottoressa Manuela Lojacono. Ho voluto creare la figura di una oncologa sicura delle proprie conoscenze fino al momento dell’incontro con Luigi Xella, il paziente più sconvolgente della sua carriera. Giunta a Psy-Mo tutte le sue certezze, compresa la sua vita coniugale, crollano. Nasce l’impossibile storia d’amore con il protagonista Siddharta Rave, e per la bionda comincia una nuova vita completamente diversa da come se l’era immaginata.

Ho ambientato le scene in montagna in un rudere in alta valle di Susa, l’alpeggio La Cittadella sopra Villar Focchiardo. Da me ribattezzato Piccola Lhasa. Anni prima avevo inventato questo nomignolo ritraendo la casa di un amico, sempre in valle, rustico abbarbicato su un versante roccioso alle spalle del paese di Mocchie. Dopo pranzo mi ero dilettato a dipingere alcuni acquerelli, poi donati ai padroni di casa. Uno di questi ritraeva la facciata dell’edificio che, per via della forma e del colore particolare delle cornici delle finestre, chiamai appunto Piccola Lhasa, in ricordo del mio viaggio del 2003 in Nepal. A quel punto ho dovuto documentarmi circa gli aspetti tecnici per far funzionare l’impianto stereo di Siddharta Rave, utilizzando solo elementi della natura.

Per realizzarlo, nella finzione romanzata, mi occorreva la figura di un personaggio competente in materia di energie pulite. Così ho inventato la figura dell’ingegnere Folco Ainardi, titolare insieme al fratello di una azienda specializzata nella progettazione e costruzione di centraline idro elettriche. In effetti esiste in Valle di Susa una azienda che produce simili apparecchiature. L’incontro tra Siddharta Rave e l’ingegnere, ritiratosi per tre anni come eremita su quella montagna, è una parte del romanzo a me particolarmente cara.

Siddharta Rave racchiude molti altri personaggi, che lascio scoprire al lettore. Per le parti relative alla vita in montagna mi sono avvalso dell’aiuto di Luciano Pezzica, capo delle Guide Alpine Valsusa, amico di lunga data e per decenni gestore del Rifugio GEAT Val Gravio. Il quale mi ha anche delucidato gli aspetti tecnici relativi alla centralina idro elettrica necessaria a far funzionare l’impianto stereo nei boschi. In quanto alla progettazione dei vari impianti stereofonici devo molto alla supervisione di Marco Cappuccio, Mario Russo e Claudio Bussi, veri esperti e cultori dell’impianto sonoro supremo. Ho avuto necessità di verificare l’esattezza dei riferimenti al mondo dello sci nautico. Per questi aspetti mi sono rivolto ad Alessandro Vanoi, segretario generale della Federazione Italiana Sci Nautico e a Dario Rossi personaggio di spicco dello Sci Nautico Cusio, memoria storica di questa disciplina sportiva. Mi piace essere preciso in ogni particolare della regia scenografica, per cui ho sottoposto le parti botaniche al controllo di mia cugina Maria Teresa Della Beffa, studiosa all’Istituto Protezione Piante, presso il CNR di Torino. Per le parti relative all’interpretazione dei Tarocchi, attribuite a Neva, sono ricorso all’aiuto di Vincenzo Cappelletto e di Grazia Mirti. Per i trasporti aerei, necessari a trasferire gli impianti di Sid in alta valle, ho consultato Alessandro Pellissier della HP Pellissier Helicopter di Aosta e di Diego Fulcheri, ex pilota dell’Esercito Italiano. A Roberto ‘Beto’ Novaresio devo istruzioni sulle apparecchiature moderne dei DJ, quelle che ho dato in mano al personaggio del rivale di Sid, Dario Galletto detto ‘il pollo’.
Federico Audisio di Somma
Torino, aprile 2022
Commento dei lettori
Ho finito ieri sera di leggere il tuo libro e di stupirmi. Per la storia così ben congegnata, per il linguaggio azzeccato, per tutte le conoscenze tecniche e sapienziali inserite, per la vivacità dei dialoghi. Un libro giovane, senza muffa, e pure allegro, nonostante la serietà del cosiddetto messaggio. Complimenti.
Margherita Oggero

Siddharta Rave è un libro molto bello, scritto benissimo, che porta il lettore attraverso il liquido amniotico di una musica onnipresente, in un dedalo di personaggi singolari, anche anomali, non necessariamente simpatici, ma sempre descritti a tutto tondo; Geminus, Neva, Luigi (splendido nella sua sobrietà), don Claudio, prigioniero della sua formazione e dei suoi pregiudizi, per non dire del suo carattere, eppure non impermeabile alle emozioni da cui cerca di difendersi e da cui è messo in crisi. Rispetto all’Uomo che curava con i fiori, qui il linguaggio è meno fiorito e quindi più efficace, come nello splendido accenno di Luigi al non avere figli (pag.140) dove le parole sono poche, ma il dolore che il lettore percepisce è tanto. Allo stesso modo il racconto di Neva è assai efficace, scarno e sintetico com’è (pag. 164), davvero bello. Benissimo descritta anche l’atmosfera in DDR, con quei personaggi alternativi e utopisti che si battono, con tutta la loro idealistica protervia, contro la normale ottusità che li circonda. Nel cap. XI “Santità e peccato” la descrizione della crisi di Claudio fariseo e Siddharta pubblicano, è magistrale, con quell’improvvisa, imprevista richiesta di amore che aleggia, ma che colpisce il lettore, che non se l’aspetta, lasciandolo col fiato mozzo. Ma, a parte tutti i passi belli o bellissimi, si sente in tutta l’opera l’enorme cultura dell’autore, che invano cerca di restare nascosto dietro i suoi personaggi, ivi compreso l’enigmatico Siddharta, che colpisce, sparisce, ritorna in vesti diverse, fino all’Ascensione, punto culminante del capitolo, secondo me, più bello di tutto il libro, dove l’urlo di ammirazione, spontaneo, incoercibile del lettore, fa da contraltare all’urlo della musica, al rombo degli elicotteri, alle grida degli astanti…
Vincenzo Policreti

Mio carissimo Federico, Genio dal doppio cervello, sempre, il tuo libro è un capolavoro (sto terminando la terza lettura). É semplicemente fantastico. Intrigante, evocativo, storico, ben strutturato e scritto con maestria antica e moderna. Le chiavi di lettura sono molte e vanno decodificate con spirito attento e sensibile ai dettagli dell’animo umano e della musica del tempo, il nostro tempo che è la storia del mondo. Che è stato storia ed è storia. Poi parlerò del tuo meraviglioso libro, della sua musica e musicalità, delle vibrazioni che trasmette, del rumore dei motori, dell’elicottero che trasporta Sid in cielo, di Londra al Flamingo, di Route 66, di Psy-Mo e Piccola Lhasa, ma anche del filo rosso che lega te alle persone-personaggi, di Crimson and Clover, della sabbia che esce dal tuo pugno nel testo del ROMANCE e in copertina, del saio bianco come quello degli Esseni. Lascia che siano le nostre parole ad illustrare la scenografia!!! Il pubblico, come dici, è distratto dalle immagini, le deve decodificare, interpretare, e – soprattutto – le deve incorporare nelle proprie immagini storiche. Tutto ciò crea emozioni “loro”, emozioni che scaturiranno dalla loro lettura del romanzo. Le parole, invece, sono più discrete e più violente, evocano immagini da immaginare. Non devono servirle sul piatto. Insegnano ad emozionarsi. Decontestualizzato, il Marquee Club, é solo una piccola entrata in una viuzza sporca e piena di troie vicina a Piccadilly Circus. Contestualizzato é la culla della Swinging London che ha visto il battesimo di Small Faces, Animals, Yardbirds, The Who, Hermann Hermits. Appare il Genio del Luogo. Se fai vedere la Montesa Cota 247, non ne sentirai mai il puzzo della benzina – e così per i cento altri tuoi riferimenti del e nel romanzo-romance. Tu hai costruito mattone su mattone il tuo “muro”. Gli altri no. Tu sai le difficoltà della costruzione del plinto ipogeo, gli altri vedono solo il muro e forse cosa vi é al di là. Ma il muro non deve essere troppo alto. Si devono mettere in punta di piedi. Grazie per aver scritto quest’opera davvero speciale. Tuo sempre tuo.
(Dopo le presentazioni del libro al Circolo dei Lettori di Novara e di Torino) Risultato: serate stratosferiche in compagnia anche di Hesse e di Ginsberg. Sid tra noi e tra loro. In noi e in loro, prendeva appunti (non ricordava tutta la storia). Kong, vicino, lo seguiva con lo sguardo. Luigi, arrivato in ritardo, tossiva per il cancro. È uscito quasi subito. Neva era carica di pacchetti di Natale. Emo si chiedeva: che cazzo c’entro io in tutta questa banda di capelloni motorizzati? Filo non trovava più il vinile degli Amon Duul II. L’ha sostituito con uno dei Them. El Gris, in fondo alla sala, serviva panini e versava vino. Diceva tra sé: la mia Nazionale era meglio. Don Claudio ha ricordato a tutti che tra poco nasce Gesù Bambino, Photomax ha contattato Ugo Pratt per una collaborazione (urge cash), Satana sta facendo fisioterapia per slogatura dei polsi. Manuela sogna con rimpianto le chiavatine sul prato, mentre compila cartelle cliniche per Gasparri. Non ha comprato il libro. Geminus sfoggiava la sua ultima creazione di moda della serie speciale Getta’s. Fede hai scritto un capolavoro. Eh…. le icone si iconizzano e rivivono. Basta una sfregatina alla Lampada e il Genio servo fedele appare per servire il Padrone. È tutto facile, quando si ha la chiave per aprire la serratura. Lo scopo é la chiave. Sapere che dentro la Lampada, vi é il Genio.
Leonello Milani

Una cosa (delle tue tante) ti invidio, la tua Vulcanicità. Che non è solo un essere esuberante. E visto che il racconto si snoda nei primi – postadolescenziali – anni, il ricordo delle mie sciate sul lago di Como, trainato da un motoscafo in legno Timossi (cantiere di Argegno, allora in concorrenza con in cantiere Abbate) … e forse scriverò qualcosa di quei ricordi. Ultime sciate sul mono LELLO. E le moto. Dal Motom dei miei 13 anni (non si poteva ma si faceva), a Honda, H.D. con in mezzo una decina di atri gioielli, e i Tarocchi (ho un bel volume della collezione “I segni dell’Uomo” di Franco Maria Ricci, scritto da Italo Calvino). Lhasa mi ha fatto fare una associazione con un trekking in Nepal di anni fa. Hai saputo concludere la tua fatica (ma mi sembra sia stata più una gioia e un bisogno da soddisfare) con molta serenità.
Carlo Cenerelli

Il romanzo di Federico Audisio Di Somma Siddharta Rave è un testo a mio avviso di notevole valore e interesse in sé e ancora di più nel contesto letterario italiano. Non sono una addetta ai lavori, ma una instancabile lettrice, fin dall’adolescenza. Per trent’anni ho svolto la professione di neuropsichiatra infantile e di psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza, in prima linea, maturando un’esperienza umana che mi conforta nel giudicare la profondità e il valore politico di questo romanzo. Ho incontrato il dottor Audisio una sola volta, in occasione di una consultazione professionale, e pur avendo avuto di lui l’impressione di una persona empatica e intelligente, non avevo appieno intuito che dietro il camice bianco, nel corpo alto e robusto si celasse un mondo interiore così ricco e una intelligenza emotiva così acuta. Ho comprato così il suo romanzo per e con curiosità e con sorpresa la storia e i protagonisti mi hanno rapidamente catturata. Procedendo nella lettura, mi sono sentita sempre più come sospinta da un vento leggero e potente che spirando alle mie spalle mi trasmetteva un sentimento di gioia e un desiderio di potenza che solo i testi di Spinoza, Nietzsche e Deleuze sono capaci di farmi provare. Cercando di comprendere che cosa poteva avere in comune questo romanzo con il pensiero e l’esperienza umana di questi autori ho messo a fuoco che per me la bellezza di quest’opera consiste nella sua splendida dissidenza e nella grazia infinita di cui è portatore, così come lo sono i filosofi citati. Allora ho sentito il bisogno di scrivere queste note per sostenere il romanzo stesso di cui auspicherei una diffusione quanto più allargata. Se dipendesse da me, lo farei adottare come libro di testo nelle scuole superiori, perché é così denso di spunti di riflessione sui processi di crescita, sui percorsi di soggettivazione autentica, sui rapporti generazionali e porta una carica politica, nel senso della cura di sé di Foucault, trasmettendo un sentimento di entusiasmo e speranza come solo la vera letteratura sa fare. Il romanzo ha tanti piani di lettura e i personaggi sono tanti e variegati e si potrebbero scrivere decine di pagine. Mi soffermerò solo per un attimo sulla forza di contagio emozionale trasmesso dalla vicenda umana fra Luigi e Sid, attraverso la loro dolce radicalità. In un contesto culturale come quello in cui ci troviamo, continuamente bombardati da messaggi pessimistici sull’economia in crisi, sulla corruzione, sulle beghe di Palazzo, ammorbati dalle “passioni tristi” continuamente indotte assistendo alla rappresentazione del reale tipo reality show, nell’incontrare i personaggi di questo romanzo, si ha l’impressione di essere atterrati in un’altra galassia, sconosciuta e desiderabile e si mobilitano immediatamente sentimenti di speranza e sollievo, pur partecipando al dolore delle vicende luttuose dei protagonisti. Il romanzo indica delle vie di fuga, mettendo in scena dei personaggi non omologati e omologanti. Ricorre nel testo la parola fratellanza. Si tratta di una fratellanza, laica, non confessionale, che si nutre di condivisione e vicinanza emotiva e affettiva. Sid, nella nostra realtà, verrebbe nella migliore delle ipotesi, patologizzato e condotto alle cure mediche e psicoterapiche, quando non emarginato o indotto all’autolesionismo. Nella bellezza emozionale dell’universo del romanzo, Sid invece viene accolto da un adulto e da una comunità di adulti, in nome e per conto dell’eredità affettiva nata dalla condivisione di due uomini e che la morte di uno, rende impellente accettare o rifiutare. Il lutto, non solo per l’amico ma anche per le vicende della famiglia tradizionale, viene accolto e gestito attraverso la formazione di nuovi legami. Ai legami di sangue si sostituiscono quelli di una nuova fratellanza, quelli con i luoghi di origine e con la natura, alla ricerca di una propria originalità non subalterna. Che ossigeno! Quanto siamo lontani dal maschile comunemente rappresentato e circolante. L’ architetto affermato socialmente e professionalmente spende la propria creatività non sul registro del potere e dell’autorità, ma di nuovo, attraverso un percorso di condivisione e di ascolto emotivo del giovane Sid confuso, solo, alla ricerca. Un uomo adulto che si lascia disturbare dal dolore proprio e dell’altro e cerca con tutti i suoi mezzi di accompagnare con cautela e rispetto il più giovane. Che meraviglia! Entrambi si imbarcano in una impresa, da eroe del film di Herzog, fatta di rispetto del silenzio e di musica come strumenti per raggiungere strati più profondi di sé. Alla conquista, per rimanere con Herzog, dell’inutile. Col fine di aumentare la propria potenza di azione e facendo della propria vita una cifra di stile. Esattamente il contrario della logica dell’utile, imperante, dell’assoggettamento alla cultura del profitto materiale e della mercificazione dei rapporti. Si potrebbe dire molto altro ma concludo esprimendo il mio desiderio e auspicio che questo romanzo possa avere una risonanza nazionale, magari attraverso la partecipazione ad un rilevante concorso letterario. La gente è oggi o sonnambula o disperata e c’è molto bisogno di storie rare e preziose che ci aiutino a resistere al quotidiano nel quotidiano.
Santa Leonardi

Potrei semplicemente dirti che il libro mi è piaciuto molto, che ho amato le descrizioni dei luoghi, delle situazioni e dei personaggi, ma sarebbe un commento troppo semplice e scontato. La parte più complessa, al termine delle ultime pagine, è stata quella di riorganizzare le mie idee e ripensare a cosa il libro appena terminato mi abbia trasmesso. E non è cosa da tutti i giorni poterne discutere direttamente con l’autore.
La sensazione che ho provato nel leggere questo libro è che gli si può attribuire svariate interpretazioni, i suoi luoghi geografici hanno avuto un ruolo essenziale nel trovare le mie. Al di là dell’ambientazione primaria del romanzo, rappresentata dall’Italia e, in modo particolare dal Piemonte, che fa nascere in me un sentimento della mancanza di casa e il conseguente obiettivo di un ritorno, sono state Psy-Mo e Piccola Lhasa a smuovere le mie emozioni. “Sono sempre le persone a fare i luoghi”. Psy-Mo nella sua ambientazione utopica incorpora in sé il significato dell’amicizia, quell’amicizia a cui non importa quanto possa misurare la distanza temporale o dello spazio, ma tutte le volte che gli amici si ritrovano sembra che il tempo si sia interrotto per una breve frazione riprendendo poi a scorrere senza tenere conto dell’intermezzo. Le storie di Xella, Kong, Satana, Filo attraverso i flashbacks rispecchiano le esperienze delle amicizie personali di ognuno di noi, dall’adolescenza alla prima età adulta. Passando il tempo, i personaggi invecchiati si ritrovano a Psy-Mo, fulcro della loro unione. Un luogo circondato dal verde, che si affaccia su un lago, una spiaggia e un moletto che funge da attracco al motoscafo di Satana. Tutto si amalgama in un’ambientazione e situazione che ricorda verosimilmente e, in qualche modo per me, Laigueglia.
Piccola Lhasa corrisponde ad un luogo più meditativo, che induce alla ricerca di sé, dove Sid raggiunge la sua propria realizzazione di DJ e Buddha. È un’ambientazione molto più complessa e intrigata di Psy-Mo, difficile da scovare e raggiungere nelle nostre vite troppo frenetiche, in cui non si ha mai tempo per riassestare le proprie vibrazioni musicali con ciò che ci circonda. Non a caso, Piccola Lhasa, è difficilmente raggiungibile se non attraverso sentieri sterrati e mappe e circondata da una natura incontaminata. “La corretta applicazione del nostro libero arbitrio, ci conduce lungo il sentiero del nostro destino”. Psy-Mo e Piccola Lhasa distinte ma unite, raggiungono il loro punto di fusione solo durante il soccorso in elicottero a Sid, forse insieme non possono esistere, però la seconda necessita della prima per essere scoperta ed apprezzata. Credo di sapere qual è la mia Psy-Mo, ma credo di essere ancora alla ricerca della mia Piccola Lhasa.
Valter Caligaris

Recensione musicale. Libro-sinfonia oserei definire “Siddharta Rave”… Qui tutto è scandito dalla musica, che è il tema guida dell’intero romanzo, fin nell’impostazione dei dialoghi, che richiamano in molti tratti un incedere psichedelico. Qui riemergono nella scrittura quei suoni stratificati del 1967 sottolineati dagli effetti luminosi stroboscopici intrecciati ai colori “Day-glo”, alle tonalità viola-arancio o blue&purple delle “lava lamps”, agli effetti di bolle acquatiche di colore che si proiettavano sul fondale durante le esibizioni live dei gruppi psych rock, immersi nei geniali light shows di quell’epoca. Eppure Sid, il protagonista centrale, cerca il silenzio, una dimensione ascetica del fenomeno sonoro; silenzio che da molti è definito come la risultante suprema della musica, come esito del perfetto equilibrio dei suoni, concezione antichissima, fin dai tempi della teoria dell’armonia delle sfere celesti, armonia così perfetta ed equilibrata da essere inudibile. L’angelo della musica ascende nella visionaria scena finale grazie all’“angelo caduto” Satana, che cala con l’elicottero rosso fuoco per riportare Sid in una “dimensione altra”, che probabilmente era il luogo sempre ricercato, anelato con l’isolamento, il contatto con la natura selvaggia, in un sentimento “panico” che richiama da vicino molti temi cari al movimento psichedelico. Ironia della sorte…. Mi torna giusto alla mente la band The Fallen Angels con l’album del 1968 “It’s A Long Way Down”… Dicevo del continuo tema musicale che scorre sotto il romanzo, musica che è una sorta di fiume carsico che affiora ovunque e non può che colpirmi ed accendermi suggestioni musicali a me tanto care, specialmente nell’ambito del rock psichedelico americano “minore” che studio da anni. L’atmosfera al molo lacustre Psy-Mo era forse anche carica di nostalgia e probabilmente vi echeggiavano “Trieulogy” dei californiani Kak o la crepuscolare “Velvet Sunsets” dei Music Emporium o ancora “Suicidal Flowers” dei Crystal Chandelier, di impronta Doors… E che dire del padre di Sid? Filo e la sua wunderkammer ad alta fedeltà, l’altrove in una stanza, il luogo di fuga da una moglie e da una società distanti. Il padre che trova la fuga nel “chiuso” ed il figlio che troverà la fuga nei “non luoghi”, nell’aperto vasto ed esteso di quella natura che ai più sembrerebbe ostile o selvaggia. Forse in Sid rivivono musiche care al padre, come poteva essere una “This Way Please” dei texani The Golden Dawn o gli album di esordio dei Gandalf o dei Fever Tree. E musica era senz’altro ovunque negli incontri a casa di Greta/Geminus, magari con un taglio “USA east coast” di “I Feel Love Comin’ On” dei The Head Shop o della riflessiva e sognante “What A Way To Go” degli Appletree Theatre. E a Psy-Mo le ballads lente… che mi rappresentano visivamente Neva, che avvolge con le sue spire seducenti gli uomini che non sanno e già in passato non avevano saputo resisterle… e allora mi sovvengono “You Can’t Erase A Mirror” dei Children of the Mushroom o il capolavoro “The White Ship” degli H.P. Lovecraft, oppure lo psych-garage della band del Missouri The Vectors con “Paisley Haze”. Quindi tante suggestioni musicali da un romanzo che è musica da cima a fondo… e come tale ha toccato in me corde profonde ed emozionali.
Giancarlo Marchisio

Ho letto il libro in una dimensione quasi “onirica”, “trasfigurata”, non cercando di ricollegarlo ad un’epoca e a dei modi di essere precisi, vagamente a dei luoghi, ma cercando di immergermi per quanto possibile nella storia e nel suo significato, e nella scrittura, cercando di respirare le atmosfere e di “vedere” con gli occhi dell’immaginazione personaggi come tu li hai descritti. Dopo aver visto il video mi rendo conto della “materia” da cui sei partito, delle immagini e dei luoghi che avevi negli occhi, della Stimmung (“atmosfera”) generazionale che hai voluto ricreare. Certo che devi aver fatto un gran lavoro per mettere insieme tutti questi riferimenti, con delle foto che sembrano fatte espressamente per illustrare alcuni passaggi del romanzo. Ripensandoci, perché Siddharta Rave continua a risuonare silenziosamente in me e ogni tanto mi torna in mente quando meno me l’aspetto, due sono i personaggi che più mi hanno colpito: sul versante immaginifico Neva, su quello della documentazione fotografica Kong, il gigante buono. C’è poi un posto che mi piacerebbe sapere esattamente dov’è. Se mi dai delle indicazioni precise quanto a dove si trova Piccola Lhasa magari vado a fare un giro nella tarda primavera, non per vedere i luoghi del romanzo, ma per conoscere un po’ meglio questa nostra valle. Ma tutto questo viene prima del gran libro che hai scritto, dove tutto è trasfigurato ad un livello superiore.
Adriano Cremonese
Ciao Federico, ho finito di leggere Siddharta Rave e mi è piaciuto tantissimo. È scritto molto bene, con una scelta azzeccata di termini e un’alternanza di inquadrature, primi piani e grandangoli, che non stanca anzi fa sentire dentro ogni scena. Hai creato un’atmosfera che coinvolge e induce ad andare avanti nella lettura, per scoprire quale sarà la prossima emozione che proporrai e farai vivere. Il romanzo è saturo di citazioni musicali che accompagnano l’epopea dei personaggi, i quali si muovono su traiettorie che sembrano poter incrociare in qualsiasi momento quelle dei lettori. I dialoghi sono fantastici, sono quasi duelli in cui i protagonisti cercano di esprimere la loro visione del mondo, svelando qualcosa di sé e degli altri, ma senza cambiare la realtà perché questa è determinata dalla natura delle cose e delle persone. Tutti i personaggi cambiano, come le stagioni, secondo in proprio disegno interiore, l’unico cambiamento sulla natura è quello operato dall’uomo, che quando è rispettoso genera bellezza. La bellezza ha un ruolo importante nel romanzo: è il valore positivo, l’indicatore che si sta assecondando la natura; bellezza delle persone, delle costruzioni, delle scie sul lago, della musica. Bellezza e armonia come aspirazione trascendente di ognuno, come bene espressa dalla parabola personale di Sid. Il libro tocca tanti temi e provoca tante emozioni, mi ha fatto pensare, con tutte le differenze che possono esserci, di stile, di ambiente, di ampiezza, a Cent’anni di solitudine. Non saprei spiegarlo meglio che per un collegamento intuitivo, perciò prendilo così come te lo dico. Ancora complimenti e grazie per il regalo che ci hai fatto scrivendolo.
Silvio Giono Calvetto

Mi dichiaro una fan sfegatata del libro Siddharta Rave. L’ho comprato, lo sto leggendo, l’ho regalato ad amici con l’intento di spargere trasfusioni di tutta l’adrenalina, l’energia, la sana follia, l’ispirazione di cui trasuda ogni parola inchiostrata sulle pagine! Che bellezza! Che viaggio incredibile! Congratulazioni e grazie, lei è davvero di un altro mondo!
Viola Bodiglio

Ciao Federico, con un po’ di ritardo ma, come promesso, ti espongo, per quel che valgono, le mie impressioni su ‘Siddharta Rave’. All’inizio, diciamo per le prime 70/80 pagine, ho avuto difficoltà a trovare un filo preciso nel racconto che mi appariva un po’ dispersivo e ti confesso di aver proseguito con una certa difficoltà di concentrazione la lettura. Poi, a partire dal flashback #5, mi sono sentito sempre più coinvolto dalle vicende dei vari personaggi e soprattutto dall’approfondita analisi delle singole personalità: Luigi Xella, Filo e poi Sid su tutti. Da questo punto, la lettura è stata un crescendo di sensazioni così coinvolgenti che, all’ultima pagina, non ho potuto trattenere le lacrime. In conclusione devo dire che, ancora una volta, la tua prosa è riuscita a trasmettermi sensazioni ed emozioni uniche per le quali ti sono sinceramente grato. Un sincero abbraccio.
Ugo Goz

Ho letto, anzi ho divorato, il tuo libro, ho quantificato le ore di lettura in quanto l’ultima volta che ci siamo visti mi avevi accennato delle critiche che ti erano state mosse sulla complessità del romanzo e in 14 ore divise in tre giorni sono riuscita a leggerlo tutto! Ne sono entusiasta, come un vortice cattura e ti centra. Nonostante la complessità del racconto e la mia proverbiale difficoltà a ricordarmi i nomi non ho avuto alcun problema a tenere il filo del romanzo. È il Tuo libro per eccellenza, trasuda di te da ogni pagina, è un viaggio pluridimensionale, finalmente ho letto un romanzo non scontato dove trama e finale sono imprevedibili, con pagine esilaranti accoppiati a momenti di riflessione. Che dirti, se non che mi è piaciuto moltissimo, meglio l’ho amato!
Maria Cocozza

Ho concluso la lettura di Siddharta Rave. È stato un bellissimo viaggio, i personaggi mi hanno tenuto compagnia, mi sembrava di essere in mezzo a loro; qualche volta li ho anche sognati. Mi sono ritrovata in diverse scene e in molti tratti emotivi. Ho riso e ho pianto e mi sono fermata a riflettere. La storia mi è piaciuta tantissimo: davvero originale l’idea di “far suonare” la natura, di indagarne e accordarne le vibrazioni. Musicoterapia. Affascinante la figura di Neva, con i suoi tarocchi e la sua intrigante personalità. Delicatissimi i tratti di Luigi, uomo equilibrato e profondo. Mi mancano già. E poi le parole: poesia pura! Lei è davvero un mago della parola, riesce a domare il cavallo selvaggio della lingua creando immagini e suoni che sono propri di tutte le arti, non solo della letteratura. Siddharta Rave mi ha catturata e trascinata in un vortice di emozioni forti, istruita, inquietata e sorpresa, pagina dopo pagina. “Istanti che bruciano di luce” direbbe lei. Non vedevo l’ora di ritagliarmi uno spazio nella giornata per immergermi nella lettura, per rifugiarmi in questa bolla di “mondo parallelo” e assaporare ogni pagina come un bicchiere di buon vino. Quando chiudevo il libro, mi sentivo più leggera e vedevo cambiata la realtà là fuori che mi pesa sempre tanto. Credo che farò una visita a quei luoghi incantevoli: li guarderò con occhi da romanzo… La ringrazio per questo dono di preziosi momenti di bellezza e di piacere, di sana lettura e rigenerazione. Sono molto rari ed è un onore per me averne potuto godere e gioire. Le sue parole creano e curano…suonando note celestiali. Davvero lei conosce la via che sta percorrendo!
Erica Bertolusso

Ora mi sento di poterti dire che il libro agisce come un rimedio omeopatico. Non so come sia possibile, ma succede così. Ti assicuro che non uso sostanze di alcun tipo, anche se non funziono ad acqua pura – come Sid -, non disdegno un buon vino e neanche una buona grappa o whisky! Ho sentito come uno scossone Federico, un terremoto profondo, qualcosa che mi ha riportata a quello che ero… un “personaggio” che avrebbe potuto trovare posto nel tuo romanzo, abbastanza simile a Neva, per intenderci, che legge i tarocchi e vive un po’ sopra le righe. Ho vissuto credendo con tutte le mie forze a “quel mondo” ma poi le tante “batoste” della vita mi hanno pian piano anestetizzata e mi sono persa. Non sapendo più chi ero mi sono persa e non ritrovandomi sono entrata in panico. E non trovando soluzione al panico mi sono irrigidita e contratta in uno “stampo” di me stessa, uno zombie… un’ombra danzante, chiamala come vuoi. Ho vissuto da sbandata per 4-5 anni, ho vissuto in mezzo alla musica, il mio compagno era un diplomato al conservatorio, avevamo in casa un pianoforte a coda e uno a mezza coda, un’intera batteria (!!!) chitarre, bassi e amplificatori e cavi in giro… quanti descrivi nel tuo libro… Credevamo in un mondo migliore e ci sentivamo diversi… In questo spirito venivano da noi gli amici e alcuni di loro erano dei “personaggi” come quelli del tuo libro… Non è rimasto niente di quel periodo… Si respirava l’aria delle radio libere, anche noi eravamo liberi, spesso ci baciavamo appassionatamente in radio eppure ognuno di noi aveva la sua storia, ma era il nostro modo di condividere… Non è rimasto niente di quel mondo… Come mai? Il tuo libro è difficile, ma merita un successo assoluto. È scritto in uno stile che rasenta la perfezione. Ho amato soprattutto le descrizioni paesaggistiche, la parola come un pennello che dipinge quadri di struggente. Sono arrivata anch’io alla conclusione che Siddharta Rave va riletto. I personaggi acquistano sempre più spessore, diventano tridimensionali ed escono dalle pagine. Si coglie meglio la continuità generazionale e l’evoluzione dei protagonisti col passare degli anni. E mi piacciono sempre più gli scorci ambientali, il cielo, il lago, il bosco, la montagna. Mi sono scritta una frase che uso come segnalibro: ‘L’indolente muovere delle nuvole aprì un varco alla luna e l’acqua si accese di argento’. Perchè è proprio così che percepiamo questa immagine, ma bisogna saperlo scrivere! Non mi è difficile credere che ci sia un lavoro lungo anni, dietro questo stile dove ogni parola ha il suo posto preciso e non può essere spostata o sostituita. Avevo letto ‘L’uomo che curava con i fiori’. Il tuo stile mi sembra ulteriormente perfezionato. Ti riferisco sensazioni di lettrice, perchè non ho alcuna competenza specifica e non vorrei scimmiottare i critici.
Elena Massa

Sono quasi al termine della seconda lettura di Siddharta Rave e, anche se ancora a puntate per necessità logistiche di varia natura, me lo sto davvero assaporando! Forse che coloro che hanno vissuto gli anni ‘60 – ‘70 in “altri brodi primordiali“, e/o al di fuori della realtà piemontese-torinese, che nessun contatto mai hanno avuto con i bikers e/o con i circoli punk, e/o con la musica underground e radio Black Out che tramite essi si propalava, e/o con il Movimento di Popolo NOTAV etc etc etc sono tagliati fuori dal comprendere il significato di una “Ricerca di Purezza, di Libertà e di Verità“, spinta motrice di molti sessantottini e filo conduttore di Siddharta Rave?
Come sempre, le letture sono filtrate dal vissuto del lettore, così come quello dell’autore permea la “sua creatura” …
Lelle Zappa

Intorno al protagonista Sid girano tante storie, storie che vengono da lontano e si riverberano sul presente, restando però legate a una sorta di mito destinato a diventare leggenda. Con il romanzo Siddharta Rave Federico Audisio ci propone una ricerca, lo fa partendo da un presente (l’intervista con cui il libro si apre) che però forse è già passato e che comunque ha le sue profonde radici in un passato fatto di flashback, che sono di fatto dei racconti del perché la storia è avvenuta e sta avvenendo. Il protagonista è Sid, un giovanissimo dj alla ricerca della musica perfetta, ma in realtà alla ricerca di un padre perduto (in che modo e come, è giusto che il lettore lo scopra da sé), ma in realtà Sid è l’ultimo arrivato di una storia partita cinquant’anni prima, una storia che aveva per protagonisti un gruppo di ragazzi e ragazze apparentemente privilegiati dalla vita, figli di famiglie ricche e benestanti ma abbandonati a se stessi, sono creativi, provocatori, ribelli o, forse, solo naufraghi in balia della vita e alla ricerca di un approdo. Di fatto sono dei ragazzi di vita, o meglio ragazzi che vogliono vivere la vita e lo fanno diventando un punto di riferimento per tanti altri che cercano di colmare un vuoto che è presente in tutte le storie che via via si manifestano e che mai viene colmato. I vari protagonisti compaiono uno per volta, apparentemente a caso (così ce li vuole proporre Audisio) portati dalla succedersi degli eventi (come è nella vita), alcuni sono arroganti, altri sono fragili, tutti inseguono i loro sogni e li realizzano con pieno successo, quasi avulsi dal mondo che li circonda, mondo con cui anzi hanno poco in comune e con cui si scontrano ripetutamente, ma interessante è leggere come tali scontri avvengono e come si risolvono. Il rifugio, l’Eden dove tutti in qualche modo vivono o ritornano è un lago (il lago di Avigliana), lago dove tutti i giorni si pratica lo sci d’acqua, dove l’inverno è pausa e rinascita per la nuova primavera, quel lago è lo specchio dove tutto si dissolve e tutto si rigenera. Ma in realtà anche l’apparente calma del lago (quando non è in tempesta) non è che un simbolo e un altro luogo diventerà importante per la ricerca che tutti i personaggi stanno svolgendo, consapevolmente e inconsapevolmente. Vicino al lago una casa di sogno, costruita all’interno di una collina, con la sua bolla di vetro, è l’astronave dove tutto sembra avere il suo centro, fino a quando quell’equilibrio perfetto si rompe, ma la rottura è il pretesto perché tutto rinasca, prima in una chiesa, poi in un eremo montano, per ritornare e dissolversi e risolversi infine ancora una volta nel lago (o meglio sulle sue rive). Tutti sono liberi (eppure prigionieri del loro ruolo, che hanno scelto o da cui sono stati scelti?) a ben vedere quasi malati di libertà eccessiva (o prigionieri di quella che sembra essere libertà di essere), possono non curarsi delle regole comuni, gli è permesso dalla loro posizione sociale, dal fatto di sentirsi diversi e di essere, in fin dei conti, protetti dal loro eremo (in questo “gioco” fondamentale è il ruolo di Luigi Xella, il nume tutelare del gruppo, della radio, della memoria). Un’umanità scomposta e variegata, tipi umani, maschere, compongono un caleidoscopio dove natura e tecnologia si fondono in un’unione impossibile eppure armonica. Questo romanzo racconta una generazione, lo fa citando cantanti e musiche, dimostrandosi fedele fino all’ossessione ai vinili che scorrono sul piatto, guidati da mani capaci di affascinare. Un ruolo viene lasciato anche al misticismo, dei tarocchi ogni tanto sembrano dipanare la nebbia del destino che sembra attendere tutti. Vengono in mente Richard Bach, Robert Pirsig, Pier Paolo Pasolini e altri narratori della trasmutazione del quotidiano in mito. Un’epoca è passata e ha lasciato tracce indelebili, oggi le rovine sono diventate monumenti, ma una volta erano vita e quella vita continua e continuerà, questo è, forse, il messaggio che Siddharta Rave vuole trasmettere…
Edgardo Ivano Rossi

Un corposo romanzo generazionale in cui il destino delle persone e il senso del limite si sviluppano in una narrazione struggente, embricata, tormentata. L’autore, Federico Audisio di Somma, è un nuovo socio di A.M.S.I. (Associazione Medici Scrittori Italiani), già vincitore del prestigioso premio Bancarella nel 2002 con L’uomo che curava con i fiori (Piemme Editore). Quest’ultimo suo romanzo è storia di ricerca spirituale e di amicizia e si rifà a un cult del secondo novecento, Siddharta di Hermann Hesse, ambientato in India. Qui la storia si svolge in Italia, mette radici negli anni sessanta e leggerlo mi ha immerso in una non facile suggestione di tipo onirico, solo qualche pagina e mi sento sessantottina, ascolto Bob Dylan e cerco il simbolismo della vita attraverso gli spiriti ribelli e anticonformisti dei protagonisti. La cornice e l’ambientazione sono in Valsusa, valle anch’essa tormentata in questi ultimi anni per altri motivi e qui dipinta nella sua liricità. Sulle sponde dei laghi di Avigliana vive un gruppo di amici che accoglie il figlio di Filo, uno dei fondatori della comunità deceduto in un incidente. Si ripercorre il passato, in un flashback, dove la musica dell’epoca è colonna sonora per la ricerca della propria consapevolezza. Si susseguono pennellate da maestro: “L’alba entrò a far razzia della poesia. Penetrò dalle finestre bruciando la pellicola in cui fissava la cruda sobrietà dell’ambiente. Sovraespose ogni particolare, scolorì la pelle. La musica gocciolava nella rugiada.” Questo romanzo deve essere letto e riletto, traspare una certa rassegnazione per gli eventi ineluttabili e si presta a molte riflessioni perché come i figli dei fiori negli anni sessanta, tutti noi siamo sempre alla ricerca del nostro posto nel mondo e quando pensiamo di averlo trovato l’asticella si sposta più in alto.
Patrizia Valpiani

Nel frattempo ho finito di leggere Siddharta Rave e l’ho apprezzato molto. Sono rimasta colpita soprattutto dalla tua scrittura, tersa e nitida come il cristallo, e dalle descrizioni, suggestive come quadri impressionisti. Anzi di più: in molti casi il linguaggio è così intenso e coinvolgente che pare di trovarsi non di fronte, ma all’interno del quadro, di esserne avvolti e abbagliati, e persino di avvertirne gli odori. Potrei dire che sei uno scrittore/pittore, e certamente un musicista nell’anima: un artista completo. Complimenti!
Luisa Martucci
Un grande romanzo! Difficile in questi tempi trovare una scrittura così potente ed evocativa.
Giuseppe Spinelli
Vulcanico Federico Audisio di Somma : un romanzo da non perdere per nessuna ragione!
Monica Traversa
Sto leggendo il tuo Siddharta Rave: che ‘viaggio’!
Concetta Cirigliano Perna
Ho letto il tuo libro e l’ho trovato meraviglioso. Un capolavoro. La storia è appassionante, i personaggi intriganti, il tuo stile è una crasi tra la magistrale capacità descrittiva di Dostoevskij e l’eleganza concettuale di Shakespeare. Sono stata in Australia a gennaio e, immersa nella magnificenza della natura, mi sono ritrovata a pensare che sarebbe stata perfetta la fusione di molecole con la musica di Sid… Così come ora sarebbe un sollievo in questo silenzio surreale del vuoto panorama simil bellico (la pandemia).
Vera Spadini

Sono comunque riuscito, nel tempo libero, a leggere il tuo libro. L’ho finito alcuni mesi fa, ma soltanto ora ho scritto alcune righe in merito. Probabilmente ti interesserà assai poco il mio umilissimo parere; ne tenterò tuttavia uno. Siddharta Rave mi è piaciuto. Vi sono parti che ho forse ho apprezzato di meno, ma nel complesso, si, mi è piaciuto. Quando si arriva all’ultima pagina, e gli occhi passano dalle parole al bianco neutrale del foglio, una traccia ed un sapore comunque permangono, sulla punta delle dita o in fondo allo stomaco. Accade, io credo, con le opere viscerali, sincere. Viscerali perché destinate a sostituirsi ai visceri del lettore, sincere perché parlano sia di chi ha scritto sia di chi legge. Garcia-Lorca era solito usare una parola, per definire questo Sale della letteratura: “Duende”. Shirley Jackson, da par suo, parlava di “Aglio della Narrativa”. È un modo come un altro per dire che, leggendo, ho vissuto per un po’ a Psy-mo, insieme a Xella e gli altri. Eppure, io credo, il libro non si ferma alla mera complicità, alla partecipazione del lettore ad un mondo di carta: in Siddharta Rave sonnecchia un po’ del Kurtz di “Cuore Tenebre” ed un po’ del Martin Eden di London: una scheggia, oscura ed inquietante eppure sovente inseguita, dell’uomo ancestrale che sonnecchia dietro l’uomo degli Smartphones e dei fast foods. Pericoloso e necessario. Scriveva Borges in Arte Poetica: “A volte appare nelle sere un volto/e ci guarda dal fondo d’uno specchio;/l’arte dev’essere come quello specchio/che ci rivela il nostro stesso volto”. Quel volto dietro al volto, è, io credo, uno degli obiettivi di Siddharta Rave. La sua musica è la mappa geografica per un viaggio altrimenti troppo rischioso: da Pitagora ai riti sciamanici siberiani, è così da millenni.
Lucio Giraudo
Finito adesso… dire solo che è bellissimo sarebbe come sminuire uno scrigno di immagini colori pensieri musica e riflessioni che mi hanno coinvolto… poi Epitaph dei King Crimson, il loro ascolto ha segnato il mio passaggio dalla adolescenza familiare a un mondo nuovo… e naturalmente andai al loro concerto al Palasport nel 1973…
Marcello Mazzù
Un flashback onirico dei nostri migliori anni, un tuffo rigenerante nell’acqua sorgiva pura e cristallina della libertà, ora perduta. Grazie Federico, per un attimo ho dimenticato l’aria ammorbante che oggi soffoca ii respiro e obnubila la mente.
Domi Sacco

Ciao Doc, ho finito di leggere il tuo Sid. Invero l’ho divorato una volta, poi ho voluto rileggere il finale con più calma (la rincorsa con Xella e Sid fino all’orlo del precipizio e poi la paura di saltare). L’ho trovato un bellissimo libro, potente fino al midollo. Equilibrato anche nel caos che vuole rappresentare. Severo negli avvenimenti ma con quell’ironia che sa dissacrare ogni accadimento della vita e renderlo “leggero”. La fine della storia a sapore agrodolce, anche se necessitata. Le generazioni che si accavallano cancellano le storie delle precedenti. E la domanda sorge spontanea: perché chi sceglie di vivere un percorso fuori dagli schemi tradizionali, trova la via, alla fine è “ridotto” al silenzio? La strada dei visionari è un percorso in solitaria, prima e dopo.
Ti ringrazio per avermi regalato un pezzetto della tua vita oltre la medicina del lavoro.
Alessandra Maggi
La ringrazio per Siddharta Rave che con ironia e profondità mi ha ricondotto ai miei anni vissuti al meglio!
Silvana Copercini

Siddharta Rave: “… if you listen too” a volte esplosivo, sentimentale, tecnologico, ribelle, disumano, avvolto in una sottile veste delicatissima ma sempre presente poiché le sue vere radici, che si rivelano alla fine, riconducono al magico mondo della natura libera e incontaminata. Il salto finale di Siddharta ci riporta nel mondo interiore immutabile e magico dove il silenzio e la riscoperta della natura sono l’apoteosi del cammino purificatore che avviene tra sonorità, rombi, tensioni di bikers o traversie emotive: il grande suono della natura prevale alla fine e il magico DJ ora vive il suono nella sua pura manifestazione. Per molti sopravvissuti agli anni ’60 questo è, pur nell’apparente silenzio rumoroso di questi tempi sordi, muti e lontani, la meta agognata, l’approdo fantastico dopo la metamorfosi di suoni e consuetudini. Siddharta Rave: la riscoperta affascinante del “territorio”: le “mappe” si sono sciolte nel vibrare sublime ed estetico delle frequenze…
Pier Paderni
